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Papà in dolce attesa!

La scorsa settimana ho suggerito un testo particolarmente indicato per le neo-mamme e le loro bambine. Oggi un libro altrettanto simpatico e toccante per valorizzare la figura del padre:

“Papà aspetta un bimbo”

(F. Loew, Barroux – Ed. Settenove)

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Copertina: un grande cuore bianco incornicia una mamma ed un papà in dolce attesa che si guardano amorevoli.

Fino a qualche decennio fa, il ruolo del futuro papà era considerato in modo piuttosto marginale durante i nove mesi di gestazione: come se il diventare padre sopraggiungesse all’improvviso al momento della nascita del figlio e l’uomo fosse escluso dal tempo prezioso della gravidanza, per il semplice fatto di non viverla direttamente sulla propria pelle. Inoltre il padre, una volta nato il/la bambino/a, si vedeva costretto spesso all’interno di ruoli specifici e ben definiti: colui che deve continuare a lavorare per provvedere alla famiglia; quello che gioca con i figli o colui che  detta le regole, l’“elemento separatore” nella relazione madre-bambino… Questi precetti sociali limitavano molto l’esperienza personale e di coppia in un momento di cambiamento così cruciale per l’evoluzione della famiglia. E potevano rendere più difficili anche i passaggi successivi: la creazione del legame papà-bambino, il mutamento del proprio ruolo di vita, il rapporto con la propria compagna…

Il ruolo del papà

Pagina del'albo: Mentre la mamma viene visitata dai dottori, il papà si sbraccia ed esclama parlando con suo figlio: "Alla tua mamma fanno domande, le toccano la pancia tonda. E io? Che sono il tuo papà? Nessuno mi prende in considerazione! "Ehi, anche io aspetto un bambino!" sono costretto a ripetere a tutti!"

Ad oggi il panorama è cambiato e i ruoli sono meno rigidi e più flessibili. Si restituisce valore e dignità ad entrambi i genitori fin da subito, poiché la gravidanza è vissuta con intensità e coinvolgimento da mamma e papà anche se in modi molto diversi: se nella donna avvengono mutamenti fisici e fisiologici evidenti, l’uomo partecipa a questa esperienza da osservatore esterno ma non estraneo o meno coinvolto nei cambiamenti della propria compagna e nella relazione e comunicazione con il figlio in arrivo. I sentimenti e le emozioni relative al proprio ruolo di genitore si modificano di pari passo, le aspettative sul futuro si moltiplicano e vengono condivise… Così come dopo la nascita entrambi prendono parte all’accudimento del/la bambino/a potendo suddividersi compiti e responsabilità attraverso scelte personali e familiari molto più elastiche e interscambiabili.

Pagina dell'albo: una maestra spiega a tre papà alcuni passaggi importanti dell'accudimento: "Alla scuola dei futuri papà, cambio i pannolini, do il biberon. E' fatta! Per me i bambini non hanno più segreti!"

Diventa ancora più importante per la coppia dialogare, comprendersi e comunicare sul piano emotivo ciò che sta vivendo. Sapere di poter contare l’uno sull’altro con le proprie caratteristiche, per scoprire insieme CHI E’ quel nuovo arrivo tanto simile quanto diverso da loro!

Questo testo aiuta i futuri padri a entrare in contatto con le sfumature della loro esperienza, a raccontare a se stessi e a tutti la grande avventura che stanno vivendo, a focalizzare alcuni passaggi cruciali della stessa, ad esprimere preoccupazioni, fantasie, desideri per poterli condividere con semplicità con la partner e con il bambino!


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Ogni volta è la prima volta…

Oggi l’esplorazione del mondo dei libri ed albi illustrati mi porta verso uno spunto che mi sta particolarmente a cuore:

“La prima volta che sono nata”

(V. Cuvellier, C. Dutertre – Ed. Sinnos) 

La prima volta che sono nata

Copertina del libro: raffigura una bambina ad occhi chiusi che vola serena insieme alla sua ombra a forma di uccello.

Albo illustrato assolutamente dedicato alle neomamme, in particolare di bambine (provvederò a segnalare testi equivalenti per i papà e per i figli maschi!). Diventare madre è un viaggio incredibile per ogni donna che desideri intraprenderlo, ogni coppia ed ogni bambino, che incrociano continuamente se stessi e le loro esistenze. Che sia la prima o la quarta gravidanza, l’esperienza e l’emozione non sarà mai del tutto identica alle precedenti… più probabilmente sarà una nuova prima volta!

Quante “prime volte” hanno segnato la nostra crescita: possiamo pensare che ogni istante della vita sia il primo che viviamo a quel modo. Cosa è accaduto lasciandosi andare alle nostre prime volte? Un fiume in piena di eventi ed esperienze, un susseguirsi di scelte che ci hanno portato fin qui! A volte più o meno consapevoli, a volte banali, a volte difficilissime da compiere, a volte scelte cruciali, a volte quotidiane… In ogni caso esperimenti di vita, con cui mettersi alla prova e crescere attraverso l’esperienza in prima persona, quello che facciamo tutti.

Il libro, con immagini curate e frasi essenziali o molto ricche, accompagna con ironia e semplicità il lettore nel viaggio di una bambina appena venuta al mondo, che racconta in prima persona alcune tappe cruciali della sua crescita: ricordi indelebili, istanti comici, incontri, paure… in cui è veramente facile riuscire ad identificarsi.

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Pagina dell'albo: "La prima volta che ho giocato a pallone ero da sola. Ho vinto". Raffigura la bambina protagonista che corre e gioca con se stessa in un campo da calcio.

Mano a mano che le fasi della vita della protagonista si susseguono, cambiano le sue sfide, il significato che lei attribuisce alle stesse e alle sue passioni e relazioni. Tra le righe si intravedono messaggi spesso di una certa portata anche per noi adulti. Pillole di filosofia in un linguaggio di bambino, così facili da cogliere e al contempo così profonde. Scorrendo le pagine e assaporando l’insieme, è facile collegarsi ai propri ricordi, andare a pescare flash dell’infanzia, dei giochi, delle avventure, delle sconfitte, dei traguardi… Come se stessimo sfogliando un personale album di fotografie e disegni di famiglia che ci riporta al nostro Sé bambino o bambina: giocoso, spontaneo, timido, irrequieto, qualunque esso sia stato. 

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Pagina dell'albo: "La prima volta che ho camminato, sono caduta. La prima volta che sono caduta, mi sono rialzata. La prima volta che mi sono rialzata, ho camminato.

La protagonista col trascorrere del tempo si fa grande, adulta… E approdiamo con lei ad un finale “a sorpresa” commuovente e intenso che non voglio svelare, testimonianza del continuo “accadere” della vita in un ciclo naturale mai uguale a se stesso! Questo albo può attraversare le generazioni. Mi fa pensare ad un simbolo che si tramanda di madre in figlia, come un gioiello di famiglia o l’antico corredo, qualcosa che crea e rinsalda i legami affettivi, riempiendoli di significati personali. L’impronta con cui il libro è stato pensato e scritto, come dicevo all’inizio, è fortemente femminile… Ma credo possa senza dubbio toccare nel profondo anche la controparte maschile (papà, fratelli, nonni…), se si lascia trasportare in quello che può essere un assaggio dell’universo femminile delle loro compagne/mamme/sorelle… con cui andare a braccetto.

Buona lettura!


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IMMERSI NELLA NARR-AZIONE: la fiaba come strumento di conoscenza di sé

“Nelle nostre storie spingiamo noi stessi verso il divenire qualcosa di diverso da quello che siamo: impariamo ad anticipare e sperimentare possibili scenari futuri e a conquistare la visione di dove siamo stati” (Mair, 1987).

fiaba

Quanti “c’era una volta” ci consente di creare la vita? Quante e quali storie e differenti narrazioni possiamo scegliere di raccontare a noi stessi e agli altri su ciò che ha costituito la nostra esperienza passata e che, a seconda della chiave (di lettura e di scrittura) che vogliamo dargli, informerà la nostra esperienza futura? Domande retoriche forse, alle quali risposta non c’è… o meglio, ce n’è più d’una. Proprio questo è l’aspetto interessante.

Miller Mair, nell’articolo “Kelly, Bannister e una psicologia che racconta storie” (1987), afferma che

“I racconti sono l’utero della personalità, ci costruiscono e ci demoliscono. Ogni volta che scegliamo di raccontare una storia, noi diventiamo le nostre storie”.

Le studiose Ilaria Grazzani Gavazzani ed Elena Calvino (2004) aggiungono: “Alla base dell’interesse sempre più diffuso per la narrazione in ambito psico-educativo e terapeutico vi è l’assunzione condivisa (in psicologia, sociologia, antropologia…) che raccontare storie, sia di finzione sia riferite a eventi personalmente vissuti, costituisca un potentissimo strumento culturale al servizio delle numerose interazioni interpersonali della vita quotidiana”. Non solo: le autrici proseguono affermando che ciò che viene costruito attraverso la fiaba non è tanto una rappresentazione delle informazioni su di sé, quanto l’esperienza personale delle stesse. E tale costruzione non avviene in una mente isolata ma “in virtù di pratiche linguistiche culturali condivise”. Allo stesso tempo

“Il significato della narrazione risiede nel particolare punto di vista di chi la interpreta, non è univoco o dato una volta per tutte ma costruito attraverso processi interpretativi”. 

Trasponendo il concetto di storia di vita al racconto letterario, le riflessioni sono analoghe e i due ambiti risultano strettamente interconnessi.

“Le fiabe, i miti, le novelle, i racconti, parlano di noi, della storia dell’uomo, della vita di tutti i giorni così come di eventi straordinari. E lo fanno attraverso un linguaggio metaforico, fiabesco per l’appunto, che tutti sanno capire fin da piccolissimi, poiché queste trame narrative rappresentano un patrimonio multiculturale universale” (Oliverio Ferraris, 2005).

libro

FRA SIMBOLI E ARCHETIPI CULTURALI

Il mondo della fiaba costituisce uno dei primi tramiti simbolici di possibile comprensione della realtà a cui accedono i bambini, che riconoscono piuttosto facilmente nell’eroe o nella principessa, nel castello incantato o nella casetta nel bosco, una sorta di metro di misura familiare per relazionarsi con l’esterno, immedesimarsi di volta in volta in ruoli differenti e riconoscere gli stessi ruoli negli adulti che li circondano.

In ogni fiaba ricorrono modelli semplici da individuare: il buono e il cattivo, la sfida da affrontare da soli o assieme a fidi aiutanti, la vittoria del protagonista e la sconfitta dell’antagonista. Queste linee guida che caratterizzano la maggior parte della narrativa non sono solamente codici letterari ripetitivi e standardizzati. Costituiscono il fulcro su cui si regge l’intera struttura della fiaba e soprattutto la sua funzione fondamentale: rappresentare allegoricamente gli avvenimenti della vita per mezzo di un linguaggio intellegibile ai più piccoli” (Zoppei, 2003).

Ogni fiaba presenta una situazione iniziale in cui i personaggi vivono in un equilibrio momentaneo; sviluppa poi un problema, un’impresa, una prova da superare; poco a poco sviscera le differenti possibilità, anche le più ingegnose e magiche, che portano quasi senza dubbio ad una soluzione positiva del problema e ad una condizione inevitabilmente diversa da quella di partenza (non fosse altro per l’esperienza attraversata) e molto spesso migliore. Questo processo, oltre ad essere un piacevole passatempo, può condurre il bambino ad interrogarsi sulle sue stesse avventure, vicende, problematiche quotidiane e consentirgli di sperimentarsi con speranza di riuscita, per venire fuori con successo da situazioni a volte difficili o dolorose.

I bambini sono esortati ad essere creativi ed inventivi nel gestire i loro problemi e difficoltà […] permettendosi di esplorare variazioni ai loro punti di vista e comportamenti abituali attraverso l’immedesimazione nei personaggi della fiaba” (Freeman, Epston, Lobovits, 1997).

NON SOLO PER BAMBINI…

La fiaba può risultare uno strumento altrettanto utile da impiegare anche con gli adulti. Certamente con loro il tipo di attività da proporre è diverso: pensando ad esempio ad ipotesi di lavoro in ambito terapeutico, accade molto più frequentemente che al posto della fiaba tradizionale (già colma di figure archetipiche e di significati) venga utilizzata una fiaba inventata ex novo dalla persona. Nei suoi libri Guarire con una fiaba (2008) e Come raccontare una fiaba…e inventarne cento altre (2004), Paola Santagostino afferma che la fiabazione è utile come strumento conoscitivo sia per il paziente che per il terapeuta, sia per il bambino che ascolta o inventa la storia, che per l’adulto che lo accompagna in questo viaggio.

La fiaba parla dei perché, parla sempre del significato di ciò che accade”, descrivendo allegoricamente le connessioni logiche e le spiegazioni che attribuiamo agli eventi.

L’autrice prosegue con l’ipotesi-guida del suo lavoro: la fiaba che un soggetto inventa in un dato momento della sua esistenza vissuto come particolarmente problematico, potrebbe avere un’attinenza con quanto gli sta accadendo nella vita e con il modo in cui se lo spiega. Potrebbero allora generarsi storie che si interrompono bruscamente, che non riescono ad andare avanti, non a lieto fine, testimonianza non tanto dell’esistenza di difficoltà in sé, ma dell’incapacità momentanea del protagonista di superarle.

capitolo 

NARRAZIONE E VITA

Quando parliamo di favole, fiabe, miti, leggende… spalanchiamo mondi che non appartengono solo alla fantasia, ai racconti della buona notte, come siamo forse abituati a pensare. Ci addentriamo bensì nel cuore delle storie dell’umanità, delle biografie del mondo e delle auto-biografie dei suoi abitanti. Il plurale è assolutamente voluto: nonostante si possano riscontrare tratti, scenari, personaggi, origini e significati comuni e ricorrenti nei vari racconti di epoche e culture decisamente lontane, ogni storia è a sé, è leggermente diversa, è frutto della creatività di un singolo o di un popolo. Soprattutto: ogni storia può essere scritta e letta di nuovo da un punto di vista diverso, può venire modificata e assumere sfumature che gettano su di lei e sugli autori luci e sguardi che prima non c’erano, potenziali generatori di nuove storie…e così via. “Le narrazioni possono creare nuove realtà ed edificare ponti di significato inesistenti prima” (Freeman, Epston, Lobovits, 1997).

La fiaba quindi può essere qualcosa di più di un intrattenimento serale per piccoli e grandi: può facilitare ad approcciare un eventuale problema da un’angolatura differente e aiuta a sfruttare in pieno la creatività nel cercare le soluzioni. Fa uscire per un momento dagli schemi logico-razionali privilegiando un altro livello, quello fantastico, in cui è possibile avere intuizioni, scoprire soluzioni non pensate prima, possibili ed applicabili. Non si tratta di una mera interpretazione dei simboli a livello archetipico o mitologico, ma della comprensione profonda del significato che quella fiaba ha in quel momento per l’individuo che l’ha creata o che desidera ascoltarla.

“L’immaginazione favorisce un ampliamento degli orizzonti: consente di rappresentarsi le cose non solo come sono ma anche come potrebbero essere, permette di esaminare virtualmente un avvenimento ed anticipare quali potrebbero essere reazioni e conseguenze, facilitando la presa di decisione. Certo la realtà è diversa dalla finzione, ma immaginandosela (anticipandola) il bambino (e l’adulto) si prepara ad affrontarla” (Oliverio Ferraris, 2005).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  • Freeman, J., Epston, D., Lobovitz, D. (1997), About Narrative Therapy with children. In www.narrativeapproaches.com
  • Gavazzani, I., Calvino, E. (2004), Competenze comunicative e linguistiche. Aspetti teorici e concezioni evolutive. Franco Angeli Editore, Milano
  • Mair, M. (1987), Kelly, Bannister e una psicologia che racconta storie. Traduzione italiana di E. Minissi. Intervento presentato al VII Convegno di Psicologia dei Costrutti Personali, Memphis, Tennessee, U.S.A.
  • Mair, M. (1988), Psychology as Story Telling. In International Journal of Personal Construct Psychology, London
  • Oliverio Ferraris, A. (2005), Prova con una storia. Fabbri Editori, Milano
  • Santagostino, P. (2004), Come raccontare una fiaba…e inventarne cento altre. Red Edizioni, Milano
  • Santagostino, P. (2008), Guarire con una fiaba. Usare l’immaginario per curarsi. Feltrinelli Editore, Milano
  • Zoppei, E. (2003), Laboratorio di lettura. Metodi e tecniche di animazione del libro Mondadori Editore, Milano

PREVENZIONE: UN SISTEMA COMPLESSO DI ATTORI IN GIOCO

E’ di questi giorni l’ennesimo (purtroppo) caso di cronaca relativo a maltrattamenti all’interno di strutture di accoglienza per persone con differenti problematiche, in questo caso un centro per la disabilità:

“Disabili segregati e picchiati in un centro di riabilitazione in provincia di Roma”

Verso la fine dell’articolo, resto colpita dalle affermazioni del Ministro della salute Beatrice Lorenzin:

“…E’ di fondamentale importanza l’approvazione del ddl che porta il mio nome… In esso è contenuta l’aggravante per chi commette reati all’interno delle strutture socio sanitarie. Aumentare di un terzo la pena per gli autori di gesti così ripugnanti credo sia il giusto segnale che dobbiamo dare in difesa dei nostri concittadini più fragili”.

Ciò che cattura subito la mia attenzione è il nesso logico che il Ministro esplicita fra “aumentare le pene” per simili reati e, attraverso questo provvedimento, “difendere i cittadini più fragili“. Mi chiedo in che misura si stiano realmente prendendo in considerazione quelli che dovrebbero essere gli aspetti più importanti della questione: la salute e il benessere sia degli utenti del centro accoglienza, sia delle loro famiglie, sia degli operatori che lavorano all’interno della struttura.

Qui si apre il grande capitolo “prevenzione”.

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Dal mio punto di vista, non si fa prevenzione (specie nell’ambito sanitario) intervenendo solo sulle conseguenze giuridiche di un atto illecito. Si rischia di bypassare un imprescindibile esame a monte del problema o dei problemi che hanno portato all’accaduto, agendo esclusivamente su piani di minaccia e intimidazione che, se non adeguatamente accompagnati da altri percorsi di cambiamento e miglioramento, lasciano il tempo che trovano.

Credo che prendersi carico seriamente delle condizioni di vita degli ospiti del centro significhi guardare in modo ampio al contesto e agire per garantire il buon funzionamento generale del sistema:

  1. un clima lavorativo sostenibile e adeguato per gli operatori 
  2. un’analisi dei bisogni degli utenti e delle loro potenzialità di crescita e sviluppo
  3. un’attenzione particolare alle loro famiglie in ottica di scambio continuo e collaborazione

Si potrebbe pensare di investire maggiormente in un lavoro di equipe costantemente monitorato e supervisionato che permetta a tutti gli operatori di:

  • condividere le difficoltà concrete quotidiane nella gestione degli utenti e della struttura, per cercare insieme più soluzioni;
  • esprimere i vissuti emotivi personali nella relazione con le persone ricoverate, coi colleghi e con le istituzioni;
  • sentirsi attivamente coinvolti e chiamati in causa nell’andamento della vita del centro e dei suoi ospiti: gli operatori infatti sono sempre strettamente a diretto contatto con le persone di cui si prendono cura e meritano una voce in capitolo importante che spesso non è loro riconosciuta.

Tutto questo può facilitare una comunicazione in team chiara, diretta e costruttiva, una condivisione di punti di vista nell’ottica di un arricchimento e collaborazione reciproci,il riconoscimento e rispetto del proprio ruolo e di quelli altrui.

E può evitare situazioni estreme di stress, burn out lavorativo, inadeguata gestione delle circostanze, con gravi conseguenze che poi ricadono sugli utenti e sui loro familiari.

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Contemporaneamente, proprio gli utenti da tutelare rischiano a mio avviso di essere vittime due volte: dei maltrattamenti subiti (o che subiranno in futuro in mancanza di un’adeguata presa in carico della situazione) e del silenzio nel quale continuano ad essere prevalentemente relegati. Dare voce alle loro esigenze, ai bisogni, alle caratteristiche personali, alle potenzialità di ciascuno; dare valore alla persona nella sua interezza e unicità potrebbero essere dei passi avanti significativi per comprendere lo specifico di ogni situazione e fornire a ciascuno un servizio personalizzato realmente utile e coinvolgente.

In ultimo, ma non meno importante, la posizione della famiglia. Tra struttura ospitante e familiari è fondamentale che si crei un rapporto di interscambio sulle condizioni di salute dell’utente; una relazione di fiducia reciproca in cui gli operatori considerino i familiari fra gli “esperti conoscitori” del benessere del proprio caro, e i familiari reputino gli operatori come dei professionisti cui poter affidare con estrema sicurezza la vita dei loro congiunti. Questo equilibrio va costruito giorno per giorno e trasformato in un dialogo costante che abbia come obiettivo comune il massimo benessere dell’assistito, senza dimenticare tutti coloro che ruotano attorno a lui.

Considerando tutte le componenti essenziali prese qui in esame, credo sia possibile parlare più serenamente e consapevolmente di prevenzione. Se il faro guida del proprio lavoro è garantire a tutti le migliori condizioni di vita possibili, l’azione dev’essere congiunta e contemporanea su più fronti. Più attori sono in gioco, più il gioco è complesso, più aumentano le variabili da considerare, più le responsabilità si condividono.

CHE FATICA RILASSARSI! – Esperienza e riflessioni #Parte2

Nel post precedente ho condiviso qualche considerazione su come, a volte, prendersi del tempo per se stessi non sia così automatico e semplice come ci anticipiamo. Possono esserci molti aspetti di noi e del nostro stile di vita, utili e sensati per noi, che in qualche misura intervengono nel momento in cui decidiamo di rilassarci, di “staccare” appunto dalla routine, tanto faticosa quanto, in certi casi, rassicurante e prevedibile.

Sono molte le domande e gli spunti di riflessione sorti in merito, sicuramente ne avrete aggiunti di vostri.

In questa seconda parte dell’articolo non vado in cerca di risposte preconfezionate, soluzioni semplici o ricette uguali per tutti per riuscire a raggiungere la pace dei sensi!

Corsi di yoga e meditazioni guidate, splendidi mandala da colorare, esercizi di respirazione e visualizzazione… e molte altre proposte, sono validissime alleate per incrementare la nostra capacità di concentrazione e rilassamento.

50 modi di prendersi una pausa

La mia idea di partenza è: ognuno di noi vive esperienze magari simili ma attribuendo significati potenzialmente molto diversi; ognuno di noi può esplorare le strade più affini a sé e alla sua storia per apportare dei cambiamenti nella sua vita.

Ed è in questa complessità che possiamo provare a riconoscere la nostra unicità e a rispecchiarci negli altri.

Partendo da questo presupposto, propongo quindi una mia esperienza diretta: un esperimento recente che chiamerei “tentativo di concentrazione e rilassamento”.

Lo scenario è molto semplice: attività sportiva, esercizi piacevoli ma conosciuti e ripetitivi, ormai da tempo archiviati nella sezione “abitudine”. Istruttore che ogni tanto controlla e scandisce il ritmo. Tutto regolare, fino a quando inaspettatamente accade proprio il passaggio di cui parlavo nel primo articolo: mi accorgo di essere profondamente distratta, sto andando in automatico senza pensare a ciò che faccio, eseguendo meccanicamente dei movimenti ma priva di concentrazione su di essi e su di me in quel momento. La mente è piena di altri pensieri.

La cosa se da un lato non mi stupisce, mi rattrista. Sento che ci sono per metà e che sto “perdendo” qualcosa: la concentrazione sul mio presente, la consapevolezza del mio corpo in movimento, la possibilità di conoscermi ancora e di scoprire qualcosa di me… e il beneficio che quel tipo di attività può donarmi se la esercitassi con tutta la mia persona.

homer, pensieri

Le possibilità che immediatamente mi si aprono davanti sono almeno tre (immagino ce ne siano molte di più):

  • prendo atto della cosa, ma lascio tutto com’è, gli altri pensieri hanno la precedenza;

  • mi impegno con tutta me stessa nel prestare la massima attenzione agli esercizi per il resto della lezione;

  • escogito un atto creativo.

Ognuna di queste scelte ha significati e motivazioni dignitosi e comprensibili, non ce n’è una migliore di un’altra. Si tratta di comprenderne il senso e l’utilità personali in quel momento e decidere quale percorso si vuole provare ad intraprendere.

Nel mio caso, ho focalizzato chiaramente che:

  • non volevo ignorare la consapevolezza a cui ero giunta;

  • al contempo, se mi fossi imposta un compito di concentrazione e rilassamento “estremi” (ovvero l’opposto della distrazione di prima) sarei probabilmente scivolata molto presto in uno stato di difficoltà diffuso che mi avrebbe fatto desistere.

Ho optato per l’atto creativo. Molto semplice forse, ma con risvolti curiosi.

Per aiutarmi a concentrare la mia attenzione nel qui ed ora ho cominciato, in maniera istintiva e spontanea, ad abbinare ad ogni movimento uno scenario in cui collocarmi, un’immagine molto vivida nella mia fantasia.

Ad esempio: se l’esercizio prevedeva di allargare le braccia di lato e muoverle con gesti ampi dall’alto al basso, ho immaginato di librarmi in volo sopra una grande città, ricordandomi di un bellissimo sogno di qualche tempo fa in cui avevo vissuto questa esperienza.

Quando il movimento delle braccia è diventato simile al gesto di un vogatore, dal cielo sono passata ad una barca su un lago di montagna, visitato anni prima.

Nel momento in cui sono state le gambe a lavorare, mi sono ritrovata immersa prima nel blu profondo del mare, simile ad un sub in risalita da un’immersione. Poi nel nero di un cielo notturno cosparso di stelle, schivandone alcune particolarmente luminose!

E così via…

pescare il futuro

All’inizio non è stato facile: la tendenza alla distrazione era comunque forte e più volte ho compiuto lo “sforzo di rilassarmi”, di tornare al presente. Man mano che l’esperimento proseguiva, è aumentata la confidenza con quel tipo di visualizzazione.

Puri esercizi mentali? Credo di no. Cosa “altro” è accaduto?

Innanzi tutto, a differenza di altre lezioni, mi sono davvero divertita!

In secondo luogo ho riabbracciato ricordi e sensazioni molto piacevoli del mio passato ed ho realizzato fantasie buffe simili a quelle dei bambini, che mi hanno restituito un senso di leggerezza e possibilità.

Ho inoltre percepito vividamente che il mio corpo, incuriosito anch’esso dall’esperimento, si è “impegnato” nel sostenerlo, ha lavorato con precisione e focalizzazione.
E alla fine della sessione, osservandomi, anche i gomitoli di pensieri sulle cose da fare si erano effettivamente presi una piccola pausa. Alcuni di essi, magari i più semplici, si erano perfino un po’ sbrogliati.

Non “gridiamo al miracolo facile”! Tutto ha poi ripreso a scorrere in modo simile a prima. Ma attraverso questa piccola esperienza ho verificato che permettersi di restare con se stessi in maniera ampia e completa, rilassarsi e concentrarsi sul presente, non significa necessariamente rimanere indietro sulla tabella di marcia.

Può anche aiutare a riorganizzare creativamente quella stessa tabella: proprio come accade quando ci svegliamo al mattino avendo avuto un’intuizione notturna su un problema del giorno prima! Favorire “il vuoto” permette di “riempire” nuovamente.

Riprendo la considerazione conclusiva del primo post: l’esperimento in questione mi ha aiutato a osservare cosa cambia dentro di me nel momento in cui provo a “muovermi diversamente”. Può essere un esempio concreto, sicuramente diverso per tutti, di come partendo dal quotidiano, dall’apparentemente “semplice”, sia possibile addentrarsi in esplorazioni ben più ampie e con un riverbero significativo nella vita di tutti i giorni.

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CHE FATICA RILASSARSI! – Istantanea quotidiana #Parte1

Vi capita mai di riuscire a ritagliarvi un momento di relax solo per voi nella frenetica routine quotidiana? Un angolino di tempo in cui riposarvi, recuperare energie, prendersi cura di sé? Per ciascuno di noi può essere qualcosa di diverso:  una passeggiata nel parco cittadino, un film da soli o in compagnia, un divano e quel libro rimasto troppo a lungo sul comodino, una giornata alle terme, una sessione di sport, una ricetta nuova da sperimentare, del rilassamento con la musica preferita in sottofondo…

relax

Qualunque sia l’attività prescelta, l’avete programmata, attesa e finalmente eccola, eccovi pronti a staccare da tutto e concedervi il meritato riposo!
E… vi capita mai di accorgervi sul più bello, a metà del paragrafo del libro, nel bel mezzo della conversazione con l’amico, o asciugandovi il sudore in palestra… che la testa è tutt’altro che sgombra, sta continuando a lavorare? I pensieri frullano continuamente al posto del sottofondo musicale: le cose da sistemare a casa, il progetto da consegnare al capo, la visita medica da prenotare, quell’impegno che proprio non vorremmo avere…
E’ come se non fossimo del tutto presenti a noi stessi e a quello che stiamo facendo in quel momento, pur trattandosi di qualcosa di piacevole e desiderato. Invece di alleggerire la mente per un po’ di tempo, spesso senza rendercene conto ci portiamo dietro dubbi, preoccupazioni, catene di riflessioni e programmi futuri che rischiano di appesantire anche la nostra pausa relax.

E’ così difficile staccare la spina?

vignetta relax

 
Senza generalizzare e provando a fare qualche ipotesi, credo possa esserlo nel momento in cui, ad esempio, farlo significa lasciare per un attimo il (presunto) controllo sulla propria vita, lasciare che le cose scorrano e si rimescolino senza la nostra continua supervisione. Questo come ci farebbe sentire?
Può essere difficile “mollare le redini” se, con un altro esempio, farlo significa pensare anche solo per un istante di non essere sempre e comunque indispensabili (la Terra gira da sola anche durante la mia ora di pilates!); o viceversa, pensare che alcune delle cose che ci distraggono non sono sempre e comunque indispensabili per noi (fra tutti i miei impegni, c’è qualcosa che posso archiviare, rimandare, tralasciare, delegare?).
Cosa rappresenta per noi sentirci “al centro del mondo” o sentire che “le cose del mondo sono sempre al centro della nostra attenzione”?
Un’altra situazione che mi viene in mente rispetto a quanto sia “faticoso rilassarsi” è ad esempio la scarsa abitudine che abbiamo, come società occidentale, a concentrarci prevalentemente sulle nostre sensazioni fisiche, sul nostro corpo, continuamente in dialogo con noi ma raramente ascoltato.
Con quali parti di noi, magari poco conosciute o spaventose, dovremmo metterci in contatto se facessimo silenzio per un attimo?
Questi sono solo alcuni spunti su cui riflettere. Possiamo chiederci se nella nostra esperienza personale rintracciamo situazioni simili e cosa rappresentano per noi; se al contrario abbiamo vissuti molto diversi, se e come siamo cambiati negli anni…

Cosa raccontano di noi le pause relax?!

pulsante relax

Non vuole essere un puro esercizio teorico, un altro complesso percorso mentale che va ad aggiungersi ai continui pensieri messi sotto la lente di ingrandimento!
Credo questa riflessione possa avere a che fare con il modo in cui ci muoviamo nella nostra vita e nelle nostre molteplici relazioni, può dirci qualcosa di noi e di come ci vedono gli altri, quali sono le nostre priorità…
Da questa maggiore consapevolezza possiamo partire, se lo vogliamo, per esplorare e sperimentare modi alternativi di vivere certe situazioni. Non solo perché ci può interessare cambiare comportamento.
Può incuriosirci anche osservare cosa accade dentro di noi, in ciò che pensiamo, in come guardiamo il mondo, se proviamo, sempre per un attimo, a fare qualcosa di diverso.
(Prosegue con #Parte2)
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