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ALFABETO DELLE EMOZIONI

A come Amore… e poi?

Amicizia, Affetto, Avversione, Alterazione, Agitazione…

E di Euforia e di Entusiasmo.

F di Felicità, Frustrazione, Furia…

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Non si tratta di un mero esercizio di conoscenza del vocabolario italiano! Se pensiamo all’esclamazione “Che emozione!”, che ci sarà capitato di dire in occasioni particolari delle nostre vite, quante sfumature del tutto personali possiamo distinguere al suo interno? E’ come se EMOZIONE fosse un grosso contenitore di esperienze variegate, connotate da noi stessi positivamente e negativamente… e cos’altro? Sappiamo distinguere fra loro gli stati d’animo che proviamo? Non è così scontato.

Immaginiamo di trovarci davanti ad uno scrigno pieno di pietre preziose: probabilmente alcune (le più famose per tutti) siamo in grado di riconoscerle, spiccano fra le altre per colore, brillantezza, forma, dimensioni. Così possiamo separare facilmente un rubino da uno smeraldo, un diamante da un lapislazzulo… Ma che dire delle pietre “meno conosciute”? Sono pur sempre preziose ed importanti, ma probabilmente facciamo più fatica a caratterizzarle, si perdono nel mucchio con le particolarità che le rendono uniche e specifiche.

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Possiamo provare a spostare la metafora sulle nostre emozioni: può essere che quelle di cui abbiamo fatto più esperienza nella nostra vita, quelle che consideriamo più piacevoli, più “utili”… oppure le così dette “emozioni primarie”, ci siano maggiormente familiari: gioia, rabbia, tristezza, paura, disgusto… Innumerevoli studi le annoverano come “emozioni innate ed universali”, l’A B C dei nostri stati d’animo. Nel panorama ricco dei nostri sentimenti, alcuni quindi sembrano spiccare nettamente come i rubini e gli smeraldi di prima.

rich_insideout_footer_33eb9119Non sempre però è così immediato riconoscere e descrivere come ci sentiamo. Può capitare che convivano dentro di noi, contemporaneamente, più stati d’animo, anche apparentemente contraddittori; così come, in circostanze particolari, possiamo sentirci confusi e incapaci di esprimere chiaramente a noi stessi e agli altri le nostre emozioni. Una sorta di nebbia in cui fatichiamo ad orientarci. Qui compaiono le sfumature… l’alfabeto con cui ci stavamo esercitando all’inizio! E allora la Rabbia può distinguersi dal Rancore, la Paura si può affiancare al Pudore, il Disgusto può prendere a braccetto il Dissenso…

A cosa ci serve saperci muovere con dimestichezza dentro noi stessi?

Sicuramente a dissipare un po’ quel senso di vaghezza, di indeterminazione, di confusione che a volte ci disorienta. Come dire: se in mezzo alla nebbia abbiamo a disposizione una mappa del territorio, possiamo capire meglio dove ci troviamo; e se oltre alla mappa ci dotiamo di una bussola, possiamo scegliere la direzione da prendere con maggior decisione. Ascoltandoci e soffermandoci su ciò che ci accade, interrogandoci sul senso che noi vi attribuiamo, costruiamo il nostro “senso dell’orientamento emotivo”. Possiamo accorgerci meglio di cos’è che ci suscita una determinata emozione, del perché proprio in quel momento o sempre con quella persona, di come reagiamo, di cosa non facciamo…

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Un passaggio ulteriore può essere un mutamento di prospettiva rispetto a cosa pensiamo delle emozioni. Ad esempio: ci sarà capitato di vivere situazioni in cui ci accorgiamo che quasi in automatico scatta in noi una reazione ad un certo evento. Può sembrare quindi che l’emozione sia di per sé un dato di fatto immutabile, che arriva causata dall’esterno e su cui abbiamo poco potere. Ma se ci soffermiamo sui dettagli personali e sulle sfumature emotive di cui prima, possiamo scoprire che la rabbia che provo io è un sentimento magari simile o magari molto diverso dalla rabbia che prova un mio caro. Il nome è lo stesso, cambia il significato, il modo di manifestarla, il giudizio che ne abbiamo. Così l’emozione non è più molto oggettiva: in qualche modo dipende da me e dalla mia storia personale. Ed io, conoscendo la Mia Rabbia, posso non sentirmi più succube della stessa, ma decidere come utilizzarla.

Questa consapevolezza ci sostiene anche nel vivere le nostre relazioni quotidiane, che possono cambiare a loro volta. Le emozioni infatti rappresentano un modo di interpretare noi stessi e gli altri che ci guida nell’agire di tutti i giorni. Siamo costantemente immersi nel processo emotivo: più che uno stato potremmo immaginarlo come un flusso in continuo mutamento, che coinvolge allo stesso tempo pensieri, azioni, progettazione, ricordi. Come ci sentiamo si connette a come ci comportiamo e viceversa. Lo stesso vale per chi ci circonda. Grazie all’incontro/scontro di questi mondi, i nostri rapporti personali si tingono di sfumature emotive diverse: con il partner, i figli, i genitori, i colleghi, il commesso al supermercato…

Le nostre relazioni che colori hanno?

Si apre poi un altro aspetto importante: come giudichiamo le nostre emozioni. Ci sono quelle buone e quelle cattive? Quelle da scacciare e quelle da preferire? Cosa ce le fa categorizzare in un modo o nell’altro? Cosa implica soffocarne alcune, dissimularne altre, esteriorizzare con enfasi quelle magari socialmente più accettate? C’è differenza fra il mondo emotivo di un uomo e di una donna, di un bambino?…

…Quante domande, accennando appena ad un argomento per certi versi davvero inflazionato, ma ancora così estremamente complesso e affascinante! Credo valga la pena continuare ad interrogarsi sul significato che diamo alla nostra esperienza emotiva: non per trovare “etichette uguali per tutti” che descrivano la media dell’uomo comune, ma per provare ad esplorare il proprio universo emotivo e scoprire di quali sfumature personali è fatto, per poter affrontare le situazioni quotidiane muniti di mappe e bussole utili prima di tutto a noi!


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IMMERSI NELLA NARR-AZIONE: la fiaba come strumento di conoscenza di sé

“Nelle nostre storie spingiamo noi stessi verso il divenire qualcosa di diverso da quello che siamo: impariamo ad anticipare e sperimentare possibili scenari futuri e a conquistare la visione di dove siamo stati” (Mair, 1987).

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Quanti “c’era una volta” ci consente di creare la vita? Quante e quali storie e differenti narrazioni possiamo scegliere di raccontare a noi stessi e agli altri su ciò che ha costituito la nostra esperienza passata e che, a seconda della chiave (di lettura e di scrittura) che vogliamo dargli, informerà la nostra esperienza futura? Domande retoriche forse, alle quali risposta non c’è… o meglio, ce n’è più d’una. Proprio questo è l’aspetto interessante.

Miller Mair, nell’articolo “Kelly, Bannister e una psicologia che racconta storie” (1987), afferma che

“I racconti sono l’utero della personalità, ci costruiscono e ci demoliscono. Ogni volta che scegliamo di raccontare una storia, noi diventiamo le nostre storie”.

Le studiose Ilaria Grazzani Gavazzani ed Elena Calvino (2004) aggiungono: “Alla base dell’interesse sempre più diffuso per la narrazione in ambito psico-educativo e terapeutico vi è l’assunzione condivisa (in psicologia, sociologia, antropologia…) che raccontare storie, sia di finzione sia riferite a eventi personalmente vissuti, costituisca un potentissimo strumento culturale al servizio delle numerose interazioni interpersonali della vita quotidiana”. Non solo: le autrici proseguono affermando che ciò che viene costruito attraverso la fiaba non è tanto una rappresentazione delle informazioni su di sé, quanto l’esperienza personale delle stesse. E tale costruzione non avviene in una mente isolata ma “in virtù di pratiche linguistiche culturali condivise”. Allo stesso tempo

“Il significato della narrazione risiede nel particolare punto di vista di chi la interpreta, non è univoco o dato una volta per tutte ma costruito attraverso processi interpretativi”. 

Trasponendo il concetto di storia di vita al racconto letterario, le riflessioni sono analoghe e i due ambiti risultano strettamente interconnessi.

“Le fiabe, i miti, le novelle, i racconti, parlano di noi, della storia dell’uomo, della vita di tutti i giorni così come di eventi straordinari. E lo fanno attraverso un linguaggio metaforico, fiabesco per l’appunto, che tutti sanno capire fin da piccolissimi, poiché queste trame narrative rappresentano un patrimonio multiculturale universale” (Oliverio Ferraris, 2005).

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FRA SIMBOLI E ARCHETIPI CULTURALI

Il mondo della fiaba costituisce uno dei primi tramiti simbolici di possibile comprensione della realtà a cui accedono i bambini, che riconoscono piuttosto facilmente nell’eroe o nella principessa, nel castello incantato o nella casetta nel bosco, una sorta di metro di misura familiare per relazionarsi con l’esterno, immedesimarsi di volta in volta in ruoli differenti e riconoscere gli stessi ruoli negli adulti che li circondano.

In ogni fiaba ricorrono modelli semplici da individuare: il buono e il cattivo, la sfida da affrontare da soli o assieme a fidi aiutanti, la vittoria del protagonista e la sconfitta dell’antagonista. Queste linee guida che caratterizzano la maggior parte della narrativa non sono solamente codici letterari ripetitivi e standardizzati. Costituiscono il fulcro su cui si regge l’intera struttura della fiaba e soprattutto la sua funzione fondamentale: rappresentare allegoricamente gli avvenimenti della vita per mezzo di un linguaggio intellegibile ai più piccoli” (Zoppei, 2003).

Ogni fiaba presenta una situazione iniziale in cui i personaggi vivono in un equilibrio momentaneo; sviluppa poi un problema, un’impresa, una prova da superare; poco a poco sviscera le differenti possibilità, anche le più ingegnose e magiche, che portano quasi senza dubbio ad una soluzione positiva del problema e ad una condizione inevitabilmente diversa da quella di partenza (non fosse altro per l’esperienza attraversata) e molto spesso migliore. Questo processo, oltre ad essere un piacevole passatempo, può condurre il bambino ad interrogarsi sulle sue stesse avventure, vicende, problematiche quotidiane e consentirgli di sperimentarsi con speranza di riuscita, per venire fuori con successo da situazioni a volte difficili o dolorose.

I bambini sono esortati ad essere creativi ed inventivi nel gestire i loro problemi e difficoltà […] permettendosi di esplorare variazioni ai loro punti di vista e comportamenti abituali attraverso l’immedesimazione nei personaggi della fiaba” (Freeman, Epston, Lobovits, 1997).

NON SOLO PER BAMBINI…

La fiaba può risultare uno strumento altrettanto utile da impiegare anche con gli adulti. Certamente con loro il tipo di attività da proporre è diverso: pensando ad esempio ad ipotesi di lavoro in ambito terapeutico, accade molto più frequentemente che al posto della fiaba tradizionale (già colma di figure archetipiche e di significati) venga utilizzata una fiaba inventata ex novo dalla persona. Nei suoi libri Guarire con una fiaba (2008) e Come raccontare una fiaba…e inventarne cento altre (2004), Paola Santagostino afferma che la fiabazione è utile come strumento conoscitivo sia per il paziente che per il terapeuta, sia per il bambino che ascolta o inventa la storia, che per l’adulto che lo accompagna in questo viaggio.

La fiaba parla dei perché, parla sempre del significato di ciò che accade”, descrivendo allegoricamente le connessioni logiche e le spiegazioni che attribuiamo agli eventi.

L’autrice prosegue con l’ipotesi-guida del suo lavoro: la fiaba che un soggetto inventa in un dato momento della sua esistenza vissuto come particolarmente problematico, potrebbe avere un’attinenza con quanto gli sta accadendo nella vita e con il modo in cui se lo spiega. Potrebbero allora generarsi storie che si interrompono bruscamente, che non riescono ad andare avanti, non a lieto fine, testimonianza non tanto dell’esistenza di difficoltà in sé, ma dell’incapacità momentanea del protagonista di superarle.

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NARRAZIONE E VITA

Quando parliamo di favole, fiabe, miti, leggende… spalanchiamo mondi che non appartengono solo alla fantasia, ai racconti della buona notte, come siamo forse abituati a pensare. Ci addentriamo bensì nel cuore delle storie dell’umanità, delle biografie del mondo e delle auto-biografie dei suoi abitanti. Il plurale è assolutamente voluto: nonostante si possano riscontrare tratti, scenari, personaggi, origini e significati comuni e ricorrenti nei vari racconti di epoche e culture decisamente lontane, ogni storia è a sé, è leggermente diversa, è frutto della creatività di un singolo o di un popolo. Soprattutto: ogni storia può essere scritta e letta di nuovo da un punto di vista diverso, può venire modificata e assumere sfumature che gettano su di lei e sugli autori luci e sguardi che prima non c’erano, potenziali generatori di nuove storie…e così via. “Le narrazioni possono creare nuove realtà ed edificare ponti di significato inesistenti prima” (Freeman, Epston, Lobovits, 1997).

La fiaba quindi può essere qualcosa di più di un intrattenimento serale per piccoli e grandi: può facilitare ad approcciare un eventuale problema da un’angolatura differente e aiuta a sfruttare in pieno la creatività nel cercare le soluzioni. Fa uscire per un momento dagli schemi logico-razionali privilegiando un altro livello, quello fantastico, in cui è possibile avere intuizioni, scoprire soluzioni non pensate prima, possibili ed applicabili. Non si tratta di una mera interpretazione dei simboli a livello archetipico o mitologico, ma della comprensione profonda del significato che quella fiaba ha in quel momento per l’individuo che l’ha creata o che desidera ascoltarla.

“L’immaginazione favorisce un ampliamento degli orizzonti: consente di rappresentarsi le cose non solo come sono ma anche come potrebbero essere, permette di esaminare virtualmente un avvenimento ed anticipare quali potrebbero essere reazioni e conseguenze, facilitando la presa di decisione. Certo la realtà è diversa dalla finzione, ma immaginandosela (anticipandola) il bambino (e l’adulto) si prepara ad affrontarla” (Oliverio Ferraris, 2005).

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  • Freeman, J., Epston, D., Lobovitz, D. (1997), About Narrative Therapy with children. In www.narrativeapproaches.com
  • Gavazzani, I., Calvino, E. (2004), Competenze comunicative e linguistiche. Aspetti teorici e concezioni evolutive. Franco Angeli Editore, Milano
  • Mair, M. (1987), Kelly, Bannister e una psicologia che racconta storie. Traduzione italiana di E. Minissi. Intervento presentato al VII Convegno di Psicologia dei Costrutti Personali, Memphis, Tennessee, U.S.A.
  • Mair, M. (1988), Psychology as Story Telling. In International Journal of Personal Construct Psychology, London
  • Oliverio Ferraris, A. (2005), Prova con una storia. Fabbri Editori, Milano
  • Santagostino, P. (2004), Come raccontare una fiaba…e inventarne cento altre. Red Edizioni, Milano
  • Santagostino, P. (2008), Guarire con una fiaba. Usare l’immaginario per curarsi. Feltrinelli Editore, Milano
  • Zoppei, E. (2003), Laboratorio di lettura. Metodi e tecniche di animazione del libro Mondadori Editore, Milano

CHE FATICA RILASSARSI! – Istantanea quotidiana #Parte1

Vi capita mai di riuscire a ritagliarvi un momento di relax solo per voi nella frenetica routine quotidiana? Un angolino di tempo in cui riposarvi, recuperare energie, prendersi cura di sé? Per ciascuno di noi può essere qualcosa di diverso:  una passeggiata nel parco cittadino, un film da soli o in compagnia, un divano e quel libro rimasto troppo a lungo sul comodino, una giornata alle terme, una sessione di sport, una ricetta nuova da sperimentare, del rilassamento con la musica preferita in sottofondo…

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Qualunque sia l’attività prescelta, l’avete programmata, attesa e finalmente eccola, eccovi pronti a staccare da tutto e concedervi il meritato riposo!
E… vi capita mai di accorgervi sul più bello, a metà del paragrafo del libro, nel bel mezzo della conversazione con l’amico, o asciugandovi il sudore in palestra… che la testa è tutt’altro che sgombra, sta continuando a lavorare? I pensieri frullano continuamente al posto del sottofondo musicale: le cose da sistemare a casa, il progetto da consegnare al capo, la visita medica da prenotare, quell’impegno che proprio non vorremmo avere…
E’ come se non fossimo del tutto presenti a noi stessi e a quello che stiamo facendo in quel momento, pur trattandosi di qualcosa di piacevole e desiderato. Invece di alleggerire la mente per un po’ di tempo, spesso senza rendercene conto ci portiamo dietro dubbi, preoccupazioni, catene di riflessioni e programmi futuri che rischiano di appesantire anche la nostra pausa relax.

E’ così difficile staccare la spina?

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Senza generalizzare e provando a fare qualche ipotesi, credo possa esserlo nel momento in cui, ad esempio, farlo significa lasciare per un attimo il (presunto) controllo sulla propria vita, lasciare che le cose scorrano e si rimescolino senza la nostra continua supervisione. Questo come ci farebbe sentire?
Può essere difficile “mollare le redini” se, con un altro esempio, farlo significa pensare anche solo per un istante di non essere sempre e comunque indispensabili (la Terra gira da sola anche durante la mia ora di pilates!); o viceversa, pensare che alcune delle cose che ci distraggono non sono sempre e comunque indispensabili per noi (fra tutti i miei impegni, c’è qualcosa che posso archiviare, rimandare, tralasciare, delegare?).
Cosa rappresenta per noi sentirci “al centro del mondo” o sentire che “le cose del mondo sono sempre al centro della nostra attenzione”?
Un’altra situazione che mi viene in mente rispetto a quanto sia “faticoso rilassarsi” è ad esempio la scarsa abitudine che abbiamo, come società occidentale, a concentrarci prevalentemente sulle nostre sensazioni fisiche, sul nostro corpo, continuamente in dialogo con noi ma raramente ascoltato.
Con quali parti di noi, magari poco conosciute o spaventose, dovremmo metterci in contatto se facessimo silenzio per un attimo?
Questi sono solo alcuni spunti su cui riflettere. Possiamo chiederci se nella nostra esperienza personale rintracciamo situazioni simili e cosa rappresentano per noi; se al contrario abbiamo vissuti molto diversi, se e come siamo cambiati negli anni…

Cosa raccontano di noi le pause relax?!

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Non vuole essere un puro esercizio teorico, un altro complesso percorso mentale che va ad aggiungersi ai continui pensieri messi sotto la lente di ingrandimento!
Credo questa riflessione possa avere a che fare con il modo in cui ci muoviamo nella nostra vita e nelle nostre molteplici relazioni, può dirci qualcosa di noi e di come ci vedono gli altri, quali sono le nostre priorità…
Da questa maggiore consapevolezza possiamo partire, se lo vogliamo, per esplorare e sperimentare modi alternativi di vivere certe situazioni. Non solo perché ci può interessare cambiare comportamento.
Può incuriosirci anche osservare cosa accade dentro di noi, in ciò che pensiamo, in come guardiamo il mondo, se proviamo, sempre per un attimo, a fare qualcosa di diverso.
(Prosegue con #Parte2)
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